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Medici dipendenti di Aziende Sanitarie: diritto al buono pasto se il turno non copre l’orario dei pasti? 

I n materia di pubblico impiego privatizzato, la Corte di Cassazione ha finalmente chiarito la questione piuttosto controversa della legittima fruizione dei buoni mensa (meglio conosciuti come “buoni pasto”) da parte del personale sanitario avente un orario di lavoro che, seppure superiore alle 6 ore giornaliere, non sia collocabile nella fascia normalmente adibita al consumo dei pasti.

Con la sentenza n. 25622 del 1° settembre 2023, difatti, gli Ermellini hanno precisato che il riconoscimento del “buono pasto”, quale modalità sostitutiva del servizio mensa, al personale ospedaliero, da parte dell’Azienda, non deve necessariamente essere ricondotto alla collocazione della pausa adibita alla consumazione del pasto (di norma a cavallo tra il turno anti-meridiano e quello pomeridiano, tra le ore 12.30 e le 15.30), ma richiede esclusivamente che il lavoratore osservi un orario lavorativo giornaliero di almeno 6 ore, arco di tempo tale da richiedere l’esigenza della fruizione del servizio.

Nel caso di specie, la dipendente AUSL, un’infermiera con orario di lavoro articolato su cinque giorni a settimana distribuito su turni mattutini, pomeridiani e notturni, si era vista negare il servizio mensa – e, di conseguenza, anche i buoni pasto sostitutivi – per il solo fatto di non essere in servizio nella fascia oraria centrale della giornata lavorativa, compresa tra le 12.30 e le 15.30, e nonostante coprisse un orario effettivo di ben più di 6 ore al giorno.

La Suprema Corte, al contrario, accogliendo le doglianze della lavoratrice, ha affermato che il “buono pasto” svolge la funzione di “agevolazione di carattere assistenziale” per il lavoratore, tesa a garantire il suo benessere fisico per la prosecuzione dell’attività di lavoro e che, pertanto, deve coinciliare le esigenze del servizio con quelle quotidiane del dipendente.

La fruizione del buono pasto, quindi, presupporrebbe così, come regola generale, solo che il lavoratore osservi un orario giornaliero di almeno 6 ore, arco temporale che gli garantirebbe il diritto ad un intervallo di tempo non lavorato, nella piena tutela del proprio benessere psico-fisico.

La collocazione della pausa lavorativa che dà diritto al buono pasto, però – ed è qui che la pronuncia riveste una portata davvero innovativa -, non deve necessariamente interessare la fascia oraria normalmente adibita al consumo dei pasti, ben potendo interessare altre fasce orarie della giornata, poste, secondo le esigenze del lavoratore, anche prima o dopo l’orario di lavoro.

Se è vero, difatti, che l’art. 29 del CCNL del Comparto Sanità del 20.09.2001, che disciplina il servizio “mensa” e il buono pasto sostitutivo, rimanda all’Azienda ai fini della determinazione delle modalità di fruizione di tali agevolazioni, altrettanto vero è che non prevede particolari fasce orarie in cui il dipendente debba servirsene.

Ne deriva che l’Azienda ospedaliera è tenuta a garantire, quando ne ricorrano i presupposti (almeno 6 ore giornaliere di lavoro), la fruizione del buono mensa, a prescindere dal momento in cui sia collocata la pausa lavorativa del dipendente. AD Studio Associato da anni affianca gli operatori sanitari sia stagiudizialmente che giudizialmente in ogni campo del diritto sanitario, e può essere la realtà legale idonea ad accompagnare il professionista nello svolgimento della propria professione.

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