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PMI e sostenibilità

In Italia, a seguito dell’introduzione del Dlgs 254/2016 in materia di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, in attuazione della direttiva europea 2014/95/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014 (Non financial reporting directive – Nfrd), solo gli enti di interesse pubblico di grandi dimensioni sono soggetti all’obbligo di predisporre una dichiarazione di carattere non finanziario (Dnf).

Le Pmi non sono pertanto incluse nell’attuale perimetro di rendicontazione.

Il panorama è destinato a cambiare profondamente con l’entrata in vigore della corporate sustainability reporting directive (Csrd), pubblicata nel mese di dicembre 2022 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, che estende significativamente il perimetro soggettivo di rendicontazione delle informazioni di sostenibilità, includendo, tra le altre, anche le Pmi quotate (fatta eccezione per le cosiddette microimprese come definite dall’articolo 2435-ter del Codice civile).

L’attenzione agli impatti ambientali e sociali è divenuto un fattore chiave di competitività e il tessuto delle Pmi italiane sta familiarizzando sempre di più con queste tematiche. Infatti, quelle che operano nelle filiere delle multinazionali e delle grandi imprese sono chiamate, già oggi, a dimostrare il rispetto di determinati standard, sia in tema di sicurezza sul lavoro e di certificazioni ambientali, sia di formazione del personale e rispetto dei diritti umani. In questo contesto, quindi, anche le Pmi devono cominciare a investire in processi e attività sostenibili come leve per la propria competitività.

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